Con l'inizio del nuovo secolo cominciò il lungo dominio di quella che doveva rivelarsi una delle più complesse personalità scacchistiche di ogni tempo. Emanuel Lasker (1868 - 1941, foto a lato) nacque nella città prussiana di Berlinchen. Laureatosi con il massimo dei voti in matematica, si interessò ben presto agli scacchi. Negli anni della gioventù ebbe modo di dimostrare la sua bravura battendo giocatori rinomati come Bird, Blackburne e, per due volte consecutive, il campione mondiale Steinitz.
Dopo il secondo match di rivincita con Steinitz, tenutosi a Mosca quand'era ancora ventottenne e che vinse col largo punteggio di 12½ a 4½ (+10, =5, -2), Lasker divenne campione mondiale. Difese negli anni successivi il titolo contro vari avversari, fra cui il granitico Tarrasch, l'americano Frank James Marshall (1877 - 1944) , l'austriaco Carl Schlechter (1874 - 1918), e per ben due volte contro il suo coetaneo franco-polacco David Janowski (1868 - 1927), sempre con esito vincente. Trionfò anche in numerosi tornei, fra i quali si possono citare quelli di New York (1893), Pietroburgo (1895, 1909, 1914), Norimberga (1896), Londra (1899), Parigi (1900) e Berlino (1918).
Lasker adottò uno stile di gioco diverso da quello dei suoi contemporanei, specialmente diverso da quello dogmatico di Tarrasch o da quello romantico della maggior parte degli altri giocatori. In sintesi, egli pose l'accento su un fattore che fino ad allora era stato completamente trascurato nella conduzione di una partita a scacchi, cioè la componente psicologica. Il campione prussiano, infatti, non esitava a scegliere sulla scacchiera anche posizioni difficili, scomode od addirittura dubbie se intuiva che il suo avversario non vi si trovava bene.
Insomma, Lasker tendeva a far giocare male gli avversari piuttosto che cercare sempre e comunque la mossa migliore, come finora avevano fatto i suoi predecessori. Di fronte a posizioni impreviste od inconsuete gli avversari perdevano lucidità e serenità di analisi, mentre al contrario sembrava che Lasker traesse forza dalle difficoltà insite nella posizione per costruire gradualmente la sua vittoria. Con questa tecnica di gioco, aspramente criticata dai puristi quali i seguaci di Tarrasch, il giocatore prussiano dominò ininterrottamente il mondo degli scacchi fino al 1921.
Oltre ai nomi più noti, la prima metà del XX secolo vide la fioritura di numerosi Grandi Maestri che, pur non riuscendo nella maggior parte dei casi a competere direttamente per il titolo mondiale, diedero enormi contributi alla teoria ed alla pratica scacchistica.
Basti qui in proposito ricordare i nomi del polacco Akiba Rubinstein (1882 - 1961) che nel 1912 vinse in appena cinque mesi altrettanti importanti tornei, dell'austriaco Rudolf Spielmann (1883 - 1942), formidabile giocatore d'attacco, del lettone Aaron Nimzowitsch (1886 - 1935, foto a lato), eccezionale teorico e vincitore di numerosi tornei.
Ai nomi precedenti bisogna aggiungere senz'altro quelli del cecoslovacco Richard Réti (1889 - 1929), poliedrico scacchista che seppe mettere in discussione numerosi dogmi della cultura ufficiale , così come fece pure il russo Xavier Tartakower (1887 - 1956, foto a lato), fondatore della cosiddetta scuola ipermoderna, che ha teorizzato la sostituzione del concetto di occupazione immediata del centro della scacchiera con i propri Pedoni, in auge fino ad allora, con il concetto di controllo a distanza del centro con i Pedoni e, soprattutto, con le figure. Per ultimo, ma non certo come valore, bisogna aggiungere l'ucraino Efim Dmitrievic Bogoljubov (1889 - 1952), che nella sua carriera conseguì splendide vittorie fino ad arrivare in un paio di occasioni alla sfida per il titolo mondiale.
In quegli anni, essendo titolo di Campione del Mondo ormai ufficiale, sorse la necessità di regolamentare in qualche modo le competizioni per la corona mondiale, e non soltanto quelle. Fu per questo motivo che nel 1924, in concomitanza del torneo olimpico di Parigi, venne fondata la Federation Internationale Des Echecs (FIDE). C'è tuttavia da aggiungere che per lungo tempo la FIDE, come si vedrà in seguito, dovette sottostare alle bizze dei campioni mondiali in carica, spesso restii a concedere prontamente la rivincita e semmai propensi ad imporre per essa condizioni poco favorevoli allo sfidante.
Nel frattempo, mentre Lasker mieteva i suoi successi, nacque a Cuba José Raúl Capablanca (1888 - 1942, foto a lato), un bambino che in poco tempo si dimostrò straordinariamente portato per gli scacchi. A soli dodici anni riuscì a sconfiggere il noto campione americano Harry Nelson Pillsbury (1872 - 1906), che si trovava occasionalmente sull'isola. Trasferitosi a New York per gli studi universitari, il cubano prese a frequentare assiduamente il Manhattan Chess Club, di cui divenne rapidamente il miglior giocatore.
Nel 1909 lo scacchista cubano si guadagnò il diritto di sfidare il nuovo campione americano, Frank James Marshall, battendolo 15 a 8 (+8, =14, -1). Questa vittoria lo proiettò nel firmamento scacchistico e la sua fama si consolidò nel 1911 quando vinse a sorpresa il grande Torneo di S. Sebastiano. Durante le sue lunghe turneé toccò numerose nazioni e nel 1913, a Pietroburgo, sconfisse in un match l'astro nascente della nuova scuola russa, Alekhine.
Fu però soltanto dopo la Prima Guerra Mondiale che il campione cubano poté incontrare Emanuel Lasker, che ormai aveva superato i cinquant'anni. Il match si svolse nel 1921 all'Havana, la capitale di Cuba, in un caldo inusuale per il giocatore prussiano, ma ciò non toglie che la vittoria di Capablanca fu netta (+4, =10, -0). Il titolo gli rimase in tasca fino al 1927, quando glielo strappò proprio quel campione russo che aveva avuto modo di battere anni addietro, cioè Alekhine.
Negli anni a seguire il cubano vinse parecchi tornei, fra cui quelli di Berlino (1928), Budapest (1928), New York (1931), Mosca (1936) e Parigi (1938), ma non ebbe mai la possibilità di avere l'incontro di rivincita con Alekhine, anche perchè quest'ultimo si sottrasse abilmente al dovere di difendere il titolo mondiale contro il suo rivale imponendo condizioni capestro ed inaccettabili (prassi seguita comunque anche dai campioni precedenti, in quanto la consuetudine diceva che era il detentore del titolo a fissare le condizioni del match).
Capablanca morì nel 1942 senza aver avuto l'occasione di riprendersi il titolo mondiale. In ogni caso la sua classe e la sua bravura suscitano ancor oggi viva ammirazione, anche perché aveva uno stile scacchistico ch'era di una semplicità disarmante: invece di cercare combinazioni astruse, come facevano i romantici od i giocatori come Lasker, il cubano tendeva ad arrivare in maniera lineare al finale, fase della partita in cui era un maestro imbattibile.
Poco interessato alla teoria delle aperture, forse il suo unico tallone d'Achille, Capablanca preferiva semmai concentrare la sua attenzione alle linee di gioco semplici, sempre con un occhio di riguardo sulle conseguenze che potevano avere sul finale. Così, mentre la partita per i più sembrava trascinarsi stancamente verso un finale pari, egli traeva da ogni minimo ed impercettibile vantaggio posizionale quella spinta che poi lo trascinava inesorabilmente alla vittoria.