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Storia

Giochi da tavolo nell'antichità classica

Forse il primo gioco da tavoliere della Storia che ricorda almeno in parte gli scacchi è la Petteia (πεττεια), che fu in voga fra gli antichi Greci. Ne esisteva pure una versione con i dadi, la Kubeia (κυβεια). Le prime testimonianze di questi due giochi si hanno in alcune anfore e vasi della seconda metà del VI secolo a.C. che ritraggono una partita fra Achille e Aiace, con talvolta presente anche la dea Atena che cerca di interromperli, esortandoli a scendere sul campo di battaglia. La scena è ambientata durante la guerra di Troia (XIII - XII secolo a.C.), indizio di un'origine ancor più arcaica del gioco. Della Petteia / Kubeia non si hanno però notizie precise sulle regole, pertanto potrebbe essere stata più vicina alla dama o al moderno Othello che agli scacchi.

Anfora greca con scena di Petteia
Scacchi di Venafro

Da punto di vista storico, inizialmente gli studiosi ritennero che qualche versione primitiva degli scacchi avesse raggiunto l'Europa solamente grazie ai contatti con gli arabi, non prima del IX o X secolo d.C., tuttavia un ritrovamento archeologico avvenuto nel 1932 in Molise, nell'antica città di Venafro (IS), creò grande sconcerto sul problema della diffusione del gioco degli scacchi in Occidente. In una antica necropoli romana del II-IV secolo d.C. furono ritrovati, infatti, alcuni pezzi intarsiati in osso di un gioco da tavoliere (cfr. foto). Essi rappresentano senza dubbio alcuni componenti del gioco degli scacchi, nella foggia che però appare nei codici miniati del Medioevo.

Alcuni studiosi, fra cui O. Elia e H. Fuhrmann, basandosi sulla datazione stratigrafica da loro stessi effettuata dei pezzi di Venafro e di altri pezzi simili conservati nel Museo Cristiano del Vaticano e ritrovati nella catacomba di San Sebastiano, ipotizzarono che probabilmente il gioco fosse arrivato nell'Impero Romano già nel II o III secolo d.C. tramite i legionari tornati in patria dopo le lunghe guerre combattute in terre d'oriente, forse proprio in Persia. L'ipotesi non era da escludere, visto che parecchie fonti letterarie latine citano un altro antico gioco da tavolo, il latrunculorum ludus (letteralmente "gioco dei ladri / briganti", ma più conosciuto come "gioco dei soldati"), che aveva qualche somiglianza con quello degli scacchi, sebbene in realtà è quasi certo che fosse più simile alla Petteia / Kubeia, per l'uso congiunto dei dadi e la sua popolarità fra i giocatori d'azzardo.

Giocatori di Pompei
Latrunculi

Che il Ludus latrunculorum o, più brevemente, Latrunculi, assai in auge fra i legionari romani, sia molto antico lo si deduce da un ritrovamento archeologico avvenuto nel 1996 nella regione dell'Essex, in Gran Bretagna. In una tomba è venuta alla luce una scacchiera con bordi in rame e ventuno pedine di vetro simili a quelle dell'attuale dama. Secondo l'archeologo Philip Crummy, del Colchester Archaelogical Trust, il reperto corrisponderebbe ad una variante del latrunculorum ludus e risalirebbe al I secolo d.C., anche se purtroppo non è stato possibile ricostruire le regole precise di questo gioco: in quel periodo storico era talmente noto che nessuno si curò di tramandarne le regole! Il Latrunculi appare citato per la prima volta nel 10° libro del De Lingua Latina ("La lingua latina") di Marco Terenzio Varrone (116 - 27 a.C.).

È stata pure fatta l'ipotesi che il gioco romano dei soldati derivi in qualche maniera, nonostante l'uso dei dadi, dal gioco persiano dello Chatrang o che ne abbia adottato alcune caratteristiche. Pare invece scontato che siano stati i romani a diffondere il Latrunculi ed i suoi derivati nel resto dell'Europa, grazie alla vastità delle loro conquiste territoriali.

Per quanto riguarda gli scacchi veri e propri alcuni studiosi, in particolare anglosassoni, contestarono però vivacemente la datazione dei pezzi di Venafro fatta da Elia e Fuhrmann, adducendo il fatto che i reperti hanno una chiara foggia di origine araba, pertanto dovrebbero essere di epoca ben posteriore al II-IV secolo d.C. La diatriba fra le due diverse correnti di pensiero andò avanti fino al 1994, quando, grazie all'iniziativa di F. Pratesi, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove i pezzi sono conservati, acconsentì ad una più rigorosa datazione al radiocarbonio, che stabilì che i reperti sono all'incirca del 980 d.C., avvalorando quindi l'ipotesi fatta dagli studiosi anglosassoni e gettando rinnovati dubbi sulla vera epoca di introduzione del Nobil Giuoco in Europa.

Aldilà dalle varie ipotesi basate sugli scacchi di Venafro e su pezzi simili rinvenuti in catacombe romane, nell'estate del 2002 un incredibile ritrovamento consentirebbe, secondo gli scopritori, di retrocedere nel tempo l'ingresso degli scacchi in Europa: nell'antica località di Butrint, in Albania, presso un palazzo tardo-bizantino risalente al 465 d.C., è stato scoperto un reperto che assomiglia chiaramente ad un Re degli scacchi. Datato dal prof. J. Mitchell intorno al V secolo d.C., rappresenterebbe il più antico pezzo degli scacchi finora ritrovato e sarebbe la prova che qualche forma del Nobil Giuoco forse risultava già praticata nell'Impero Romano in età tardo-imperiale. Va però aggiunto che la maggior parte degli studiosi è molto scettica al riguardo perché, per quel che se ne sa, la croce sopra il Re apparve negli scacchi soltanto in epoca moderna. Il reperto, quindi, potrebbe aver avuto in origine una funzione religiosa e non ludica. 

Pezzo di Butrint